Con l'handicap controvento

Biennale di Venezia, sezione Il Sogno: fra le altre opere esposte c'è anche una barca a vela, un Piviere, sei metri e sei di lunghezza, sulla fiancata il nome Mare Aperto. Sembrerebbe una barca normale, in realtà è lì per raccontare il sogno di centinaia di giovani disabili, in particolare di quelli di Roma e del Lazio. Ancora più in particolare di un signore che oggi ha 67 anni, e ha trascorso quasi metà della sua vita con una gamba amputata. Il signore in questione si chiama Giorgio D'Orazi, se lo aveste incontrato una quarantina di anni fa lo avreste definito uno sportivo. Allora viveva a Monteverde, ma la madre - originaria di Bracciano - appena aveva un po' di tempo lo portava sul lago fin da piccolissimo. Piano piano nacque la passione per la vela, a cui si aggiunse quella per il tennis. Giorgio si diplomò, iniziò a lavorare all'Enam, Ente Nazionale Assistenza Maestri, si sposò, ma i suoi momenti liberi erano tutti per la barca e i campi in terra rossa. Aveva per l'appunto appena terminato una partita nel suo circolo, era salito sulla moto per tornare a casa ed era fermo sul cancello quando un'auto sbandò crollando addosso a lui e alla sua vita. Gamba amputata, commozione cerebrale, sfondamento dell'acetabolo, più una serie di sciocchezzuole come costole e un braccio fratturato.
Era il 1975, il giorno prima aveva anche divorziato. Rimase due anni in ospedale, superò 15 operazioni e qualche pensiero di suicidio. Quando uscì era deciso a tentare di vivere con quello che aveva, vale a dire una gamba in meno, il fisico e il morale piuttosto provati, una miseria in quanto a soldi perchè il padrone dell'auto sbandata era uscito da poco dalla galera, non aveva assicurazione e tutto quello che gli fu assegnato furono 7 milioni da parte del Fondo Vittime della Strada.
I primi anni furono duri, anche perchè la protesi gli procurava più fastidio che altro. Ma ormai aveva deciso di andare avanti e tanto valeva farlo nel migliore dei modi. Abbandonò i medici italiani, volò fino in Svizzera dove crearono un arto su misura per lui. Fu la prima svolta della sua nuova vita, la seconda si presentò sotto forma di una quasi-folgorazione. Un giorno, all'improvviso, gli tornò alla mente un uomo: al porto di Civitavecchia lo chiamavano il 'barese'. Nessuno conosceva il suo vero nome o la sua storia, si sapeva soltanto che gli avevano amputato entrambe le gambe, che viveva su una barca, un po' navigava, un po' si fermava, offriva consigli, accettava qualche moneta da chi voleva dargliela. Quell'immagine non lo avrebbe mai più abbandonato.
Anche pensando al 'barese', il 21 aprile 1989 - quattordici anni dopo l'incidente - Giorgio D'Orazi fondò un'associazione, Mare Aperto, nel tentativo di dare un aiuto a chiunque avesse una forma di handicap facendogli scoprire la vela, offrendo per alcune ore la libertà del mare, del vento a chi era condannato a vivere in una gabbia mentale o fisica. Si chiama Vela-terapia, a Roma a crederci insieme con D'Orazi si ritrovarono in quattro: Antonio Lo Iacono, presidente dell'Associazione Italiana di Psicologia Applicata, Antonio Picano psichiatra, Nunzia Cappuccio magistrato del Tribunale dei Minori di Roma, Gianna Spinuso segretaria della Lega per il diritto al lavoro degli handicappati.
Da allora sono trascorsi altri quattordici anni, Mareaperto ha portato sulle sue imbarcazioni oltre duecento handicappati e disabili di tutti i tipi, gravi e meno gravi, autistici, down, persone con problemi di igiene mentale o motori. <Ogni volta è stato un successo>, ricorda D'Orazi. E vi racconta di quando portò con sè un amico, Rocco de Vitto, un nonvedente, insegnante di pianoforte principale all'Accademia di Santa Cecilia. A un certo punto lo udì esclamare <Che spettacolo!> E alle perplessità di D'Orazi replicò, convinto: <Non sai che cosa sta succedendo nella mia testa> Oppure racconta di quando sulla barca salì Stefano un ragazzo autistico che non parlava mai con nessuno. Dopo un po' D'Orazi decise di affidargli il timone, l'unico ruolo in cui è obbligatorio comunicare con gli altri per dare gli ordini. Stefano dava gli ordini e piangeva: <Non avrei mai creduto di poter avere tanta responsabilità>, disse.
Eccolo dunque il sogno esposto alla Biennale di Venezia: Mare Aperto, che è il nome anche della barca fatta costruire dall'associazione per essere portata da qualsiasi handicappato anche da solo. Da quattro anni naviga nelle acque del litorale romano. D'Orazi potrebbe essere soddisfatto, in realtà ha ancor aun obietivo da raggiungere: <L'autonomia termina quando si tratta di scendere a terra> precisa D'Orazi che con l'associazione sta battendosi per l'eliminazione delle barriere architettoniche anche dai porti. Nel frattempo, sta facendo costruire una gru in carbonio, solida e leggera, che può essere trasportata in barca o in auto. Sarà pronta in autunno, da quel momento Mare Aperto potrà dirsi in grado di offrire a tutti, ma proprio a tutti il suo sogno.

SCHEDA

Il 30 settembre per la prima volta nelle acque del litorale romano i disabili si sfideranno come nella coppa America. Equipaggi misti, disabili e non, si misureranno secondo il meccanismo del match-race, ovvero barca contro barca. Le imbarcazioni saranno due Bavaria 44 piedi su cui saliranno a rotazione quattro equipaggi. La presentazione della regata avverrà questa mattina alle 12 presso lo Chalet del tennis del Circolo Ufficiali della Marina Militare <Caio Duilio>, in lungotevere Flaminio 45. La regata vera e propria si terrà a fine settembre al Porto di Roma, nel tratto di mare tra Ostia e Fiumicino. A organizzarla sono l'Associazione Sports Pro-Disabled, nata per promuovere manifestazioni al fine di raccogliere fondi a favore di progetti di beneficenza nel campo dell'assistenza sociale e socio-sanitaria. A collaborare alla realizzazione dell'evento vi saranno le Associazioni veliche legate al mondo dell’handicap : Blutribu, Matti per la Vela, Vela Insieme, Mare Aperto, Exodus. Le barche sono messe a disposizione da Vela Insieme - Team Tris.