Collaborazione con Centri ASL

Il mare, oltre ad essere una entità naturale biologicamente indispensabile,  rappresenta da sempre per l’uomo una meta, una sfida, una ricerca d’avventura, un desiderio di esplorazione, una speranza di fuga, un bisogno di pace, uno stimolo eccitante e insieme una scoperta di tranquillità. Ma ancora di più per l’uomo entrare nel mare è avvicinarsi all’essenza da cui ha avuto origine la vita stessa.
Andar per mare quindi, è un confronto immediato con un’ antica potenza, con la grandezza del mistero, della natura, del mito. L’accettare l’incontro/confronto con il mare di per sé è un consentirsi di affrontare una nuova dimensione fatta di spazi e di tempi diversi, tra l’oscurità dell’ignoto e la presenza del pericolo. Ma è anche opportunità di assaporare un ritmo più lento e dolce di vita, riscoprendo quali sono i limiti reali dell’esistenza, senza fuggirli, confrontandosi con la natura e con se stessi.
L’esperienza del mare fatta in barca a vela è ricca di implicazioni dal punto di vista psicologico, anche se in letteratura scientifica è molto difficile trovarne una trattazione articolata e ben definita.
Esistono infatti alcune peculiarità di questa straordinaria e suggestiva attività che è la vela, strettamente legate a dinamiche e processi psicologici:

1. l’incontro con il mare e con un ambiente naturale ricco di stimoli dove il corpo diviene il centro dell’esperienza e tutti e cinque i sensi sono esposti a continue stimolazioni;
2. l’esperienza della conduzione e del comando provata al timone o durante le manovre alle scotte, che sollecita l’attenzione ed eleva l’autostima;
3. lo spazio ristretto chiuso ed isolato che abbatte le distanze, facilita la comunicazione, ma mette anche di fronte alla prova di condividere con altri spazi ristretti;
4. le intense relazioni sociali a bordo e il particolare rapporto con l’Altro;
5. l’idea di collaborare per un obbiettivo comune che è la navigazione in sé e la soddisfazione di raggiungere il prossimo porto;
6. la certezza del proprio ruolo, perché in barca si viene riconosciuti come pedina indispensabile alla navigazione.

Il mare è un setting ambientale eccezionale, e la possibilità di viverlo da protagonisti in barca a vela costituisce un efficace mezzo di riabilitazione e di formazione, oltre che di potenziamento del proprio carattere.
La navigazione rappresenta un utilissimo momento di “hic et nunc” in cui l’individuo mette alla prova se stesso, risolvendo problemi difficili, prendendo decisioni improvvise e a volte in rapida sequenza, confrontandosi con un gruppo per un obbiettivo comune, affrontando situazioni difficili, riconoscendosi utile e indispensabile e riconoscendo l’efficacia e l’importanza dell’altro. Tali concezioni possono facilmente essere estese poi alla vita quotidiana e ad altri contesti (lavorativi, sociali, familiari). Questa è la grande potenzialità e risorsa della navigazione a vela.

Partendo da questi principi basilari si è voluto dare avvio ad una collaborazione tra il Centro Diurno di Valle Aurelia e l’Associazione Mareaperto per sensibilizzare i pazienti psichiatrici del Centro alla vela, ricavandone per loro un proficuo tornaconto in termini di attività riabilitativa e risocializzante.
In Italia l’Ass. Mareaperto di Roma, nata nell’ Aprile del 1989 in seguito ad una conferenza-dibattito “Il mare come psicoterapia”, porta in barca a vela disabili fisici e pazienti affetti da patologie mentali e vari disturbi psicofisiologici. L’associazione promuove esperienze legate alla conoscenza del mare, della vela e della nautica in genere; sviluppa attività terapeutiche e ricreative attraverso la vela, volgendo attenzione all’area del disagio, mirando non solo all’acquisizione di abilità tecniche, ma anche alla realizzazione di programmi di integrazione. L’idea di base dei fondatori di Mareaperto, Antonio Lo Iacono, psicologo e psicoterapeuta, e Giorgio D’Orazi, presidente di Mareaperto, è che dal mare possano derivare forti spinte psicologiche verso il potenziamento della personalità e verso l’utilizzo di energie costruttive e risorse proprie.
La collaborazione, tuttora in atto, sta portando a dei buoni risultati regalando ai nostri utenti uno spazio ricreativo e ludico di alto contenuto riabilitativo, coinvolgendoli con entusiasmo.
Ma il motivo principe che ha condotto l’Associazione Mareaperto a intraprendere questo percorso senza richiedere ai Centri Sanitari, come quello di Valle Aurelia, nessun ritorno economico e sostenendo le spese e i costi delle barche a carico proprio, è il principio della ricerca. Siamo convinti infatti, che tale attività abbia il diritto di avere un riconoscimento scientifico, cosa che in Italia da troppo tempo ormai non avviene, al contrario di altri Paesi Europei e non. Per far ciò però è d’uopo evidenziare che pochissime, se non nulle, sono le risorse spese in questa direzione. L’Associazione Mareaperto e noi del Centro Diurno siamo invece convinti, oltre che fortemente motivati, di continuare su questa strada aspettando che sempre più enti pubblici o privati si sensibilizzino a investire nella ricerca clinica che senza fondi sufficientemente adeguati stenta a decollare. La nostra motivazione è sostenuta dai risultati riscontrati per adesso sui nostri pazienti. Risultati che proveremo a riportare di seguito in termini ancora qualitativi.
 Il lavoro fin ora svolto da me, Francesco M. Purita, dottore in Psicologia Clinica e viceresponsabile dell’area sperimentale di Mareaperto, con la supervisione preziosa di Antonio Lo Iacono, psicologo e psicoterapeuta, consiste in un corso di uscite a vela a cadenza settimanale, dove gli utenti, omogenei per patologia (si tratta di disturbi psicotici e della personalità gravi) sono invitati gradualmente ad acquisire conoscenza rispetto alla navigazione velica e agli elementi della barca. Durante le uscite in barca della durata di mezza giornata, gli allievi sono stimolati e sostenuti dagli operatori sia nella pratica delle attività e delle manovre di navigazione, sia ad esprimere e liberare le proprie emozioni. Inoltre vi è un lavoro di monitoraggio sull’esperienza e sui vissuti condotto con dei test e questionari di autovalutazione. Vogliamo riportare alcuni commenti clinici ricavati dall’esperienza diretta con i ragazzi al termine del secondo ciclo di uscite (è tuttora in corso il terzo ciclo).

L’esperienza di andar per mare ha smosso in tutti i pazienti degli stati interni, facendo affiorare in fretta gli aspetti della personalità sia sani che patologici. L’effetto che si riconosce in tutti è il confronto con le proprie paure e i propri limiti. A volte erano proprio questi ultimi a spaventare di più perchè inaccettabili.
Allora abbiamo avuto due utenti costretti a confrontarsi con la sensazione di avere paura, loro che, di stazza imponente, hanno sempre fatto della virilità una difesa. Abbiamo chi ha provato frustrazione durante la navigazione per non poter essere sempre al centro dell’attenzione e che alla fine si è dovuto arrendere all’idea che in barca si è tutti uguali e che non servono megalomanie per condurre una buona navigazione ma semplicemente collaborazione. Chi invece deve fare i conti con il suo handicap fisico che porta a desiderare di stare con persone normali ma anche di nascondersi dietro al timone per poi sentirsi impotente e inferiore, riprendendo consapevolezza del proprio disagio.
Secondo noi, la capacità terapeutiche della barca è di fare uscire fuori questi disagi e queste caratteristiche scomode della personalità, coccolati dal mare e cullati dalle onde, in uno spazio che contiene e facilita, che mischia i disagi di tutti e ci fa sentire uguali agli altri. Tutti sulla stessa barca!
Emergono aspetti interessanti nella condivisione degli spazi che nessuno ritiene troppo stretti in modo verbalizzato, ma porta ognuno a scegliersi il proprio modo per prendersi il proprio spazio personale. C’è chi se ne và a prua da solo a prendere il sole. Chi decide di pescare e ritagliarsi un ruolo ben definito, quello del pescatore. Chi si interessa alla teoria e ascolta e fa domande e poi si ricorda tutto. Chi invece vuole “fare”, e si mette alle scotte, ai winch, al timone. Chi invece se ne sta per conto suo e in silenzio osserva gli altri e si osserva.
Tutto in base a degli stili e a delle caratteristiche che sono personali e in barca si svelano presto.
Per quanto riguarda il timone, stare alla conduzione porta sensazioni diverse e a volte contraddittorie. Si sono denotati in molti pazienti espressioni di contentezza e soddisfazione e alcuni di loro avrebbero voluto restare più tempo al timone. Si è comunque evidenziata la responsabilità forte percepita da tutti gli allievi che mano mano si sono alternati al timone e ciò ha generato fenomeni contrapposti di esaltazione e di preoccupazione per il troppo carico.
Tale ricerca dovrà portarci in conclusione ad evidenziare e confermare quanto l’andare a vela sia terapeutico in termini riabilitativi per coloro che soffrono di un disagio psichico e psicologico e ha la pretesa di estendersi per abbracciare più aree e livelli della patologia sia psichica che fisica che sociale. Per far ciò, naturalmente, Mareaperto non ce la fa a sostenere i costi ma non perde la fiducia che investimenti e contributi siano direzionati verso tale intenzione da enti pubblici o privati sensibili e coinvolti in questa meravigliosa attività che abbiamo la “presunzione” di chiamare: “Velaterapia”.

dr. Francesco M. Purita