Andar per mare…..L’arte di Veleggiare
Introduzione. Il mare come risorsa psicologica
L’esperienza del mare fatta in barca a vela è ricca di implicazioni dal punto di vista psicologico, anche se in letteratura scientifica è molto difficile trovarne una trattazione articolata e ben definita (Stadler, 1989). In verità già da trent’ anni in Europa, e da quindici anche in Italia, si pensa alla vela non solo come ad una semplice attività di svago, ma come ad una vera e propria palestra di vita. Sono sempre più numerose le associazioni che utilizzano l’attività dell’andar per mare come strumento terapeutico, e alcuni paesi come Inghilterra, Germania, Francia e Stati Uniti d’America, già si servono della vela in quanto attività riabilitativa, terapeutica e risocializzante potendo talvolta contare su di una legislazione specifica in materia (Hegemann, 1991).
Attualmente in Italia sono molte le associazioni e gli enti che si occupano e si preoccupano di portare in mare su barca a vela persone colpite da disagio psico-motorio anche se parlare di terapia o “velaterapia” è ancora presto. La prima Associazione che in assoluto ha cominciato a parlare questo tipo di linguaggio fatto di mare, di solidarietà, di integrazione sociale e costruzione della personalità attraverso il mezzo della navigazione a vela, è Mareaperto Onlus, fondata il 21 Aprile del 1989 da Antonio Lo Iacono, psicologo e psicoterapeuta, e Giorgio D’Orazi, in seguito ad una conferenza-dibattito “Il mare come psicoterapia”. Da allora Mareaperto porta in barca a vela disabili fisici e pazienti affetti da patologie mentali e vari disturbi psicofisiologici facendo loro godere di questa straordinaria esperienza nell’ottica riabilitativa e di un’integrazione totale a bordo con le persone cosiddette “normodotate”.
In queste pagine descriverò un’indagine da me condotta, che vuole dimostrare che l’esperienza di vivere il mare da protagonisti, e quindi da una barca a vela, apporta dei vantaggi psicologici a chi la pratica. Sono convinto, infatti, che dall’incontro con il mare possono derivare forti spinte verso il potenziamento della personalità e che la navigazione a vela rappresenta un grosso incoraggiamento per la costruzione di un carattere forte e sicuro e una stimolazione all’utilizzo di energie costruttive interiori e di risorse proprie. E’ mia convinzione, poi, che ritrovarsi in mare per l’uomo, significhi avvicinarsi anche alle profondità della sua stessa anima e prendere contatto con le proprie emozioni più vere. Perchè il mare simboleggia l’inconscio: il mare è spazio ignoto; il mare è imprevedibile; il mare mostra una superficie ma ha profondità vitali e/o inquietanti. Inoltre in barca si pone una continua attenzione al proprio corpo e al mantenimento dell’equilibrio in uno spazio in continuo movimento. Questa attenzione coinvolge e stimola tutti i sensi che in mare sono potenziati e immersi in un ambiente naturale.
Oltre a ciò altri concetti che interessano aspetti psicologici sono da tenersi in considerazione in barca.
La relazione: l’estraneità dell’ambiente marino rende nuova e diversa la presenza dell’Altro. È un Altro ravvicinato, in uno spazio compresso, indossa ruoli sconosciuti, modula codici secchi e misteriosi: è un Altro con il quale si deve “cooperare”.
La barca diventa un acceleratore sociale, un moltiplicatore delle dinamiche di gruppo: la vela si avvicina così alla terapia e dà un senso compiuto al termine integrazione ed estende il suo campo all’handicap psichico.
Vi è la possibilità nel veleggiare di usare il proprio corpo e riscoprirlo in quanto strumento principale per ascoltare il vento e decidere la rotta da seguire.
La conduzione e il governo di una barca attraverso mare, vento e condizioni atmosferiche a volte sfavorevoli è un’esperienza unica e davvero propedeutica per rinforzare la propria autostima e il grado di soddisfazione autopercepita. Timonare una barca a vela diventa un po’ timonare se stessi attraverso la vita.
A mio avviso, la navigazione rappresenta quindi un utilissimo contesto di “qui ed ora” in cui l’individuo mette alla prova se stesso, prende decisioni e si confronta con problemi da risolvere e con situazioni improvvise ed impreviste, esegue degli ordini e fa delle scelte in rapida sequenza, tutto in vista di un obbiettivo comune: arrivare al prossimo porto. In barca ognuno ha il proprio ruolo e questa certezza è fondamentale e funzionale a garantire una buona navigazione. Tali concezioni possono facilmente essere estese poi al “là e allora” della vita quotidiana e di innumerevoli altri contesti (lavorativi, sociali, familiari).
La ricerca
Introduzione alla ricerca e ipotesi.
Da ciò è nato il desiderio di condurre una tesi di laurea presso la cattedra di Psicofisiologia Clinica della Facoltà di Psicologia all’Università “La Sapienza” di Roma con il prof. Vezio Ruggieri. L’intento è stato quello di indagare se l’esperienza del mare in barca a vela facilita e fortifica alcune dimensioni psicologiche appartenenti all’area del “concetto di sé”. Nello specifico sono stati misurati i costrutti “autostima”, “consapevolezza corporea” e “soddisfazione corporea”, in gruppi di velisti esperti, velisti occasionali e non velisti.
L’ipotesi è che l’esperienza dell’andar per mare in barca a vela comporta a lungo andare, nei soggetti che la vivono:
1. un maggiore senso di autostima.
2. una maggiore consapevolezza corporea;
3. una più alta soddisfazione e un più alto grado di piacere riferiti alle parti del proprio corpo e alla propria apparenza fisica in generale;
Metodologia.
Gruppi e Strumenti.
La ricerca ascrive 63 soggetti distribuiti in tre gruppi, ciascuno composto da 21 individui. I gruppi sono mantenuti omogenei per quanto riguarda le variabili sesso, età e scolarizzazione. I soggetti della ricerca, infatti, sono tutti di sesso maschile, di età compresa tra i 28 e i 40 anni e tutti hanno conseguito almeno il diploma di scuola media superiore. Il primo gruppo contiene 21 soggetti velisti esperti (più di 10 anni di esperienza e buona competenza). Il secondo gruppo è formato da 21 soggetti velisti occasionali (meno di 10 anni di esperienza di vela e una bassa competenza). Il terzo gruppo contiene 21 soggetti di controllo (mai stati in barca a vela).
Per verificare l’ipotesi di ricerca ho utilizzato dei questionari di facile somministrazione cercando in letteratura quelli che mi sembravano più adatti a misurare le variabili di interesse:
? Rosenberg Self Esteem Scale (Rosenberg, 1965). Il test misura l’autostima ed è semplice, di facile somministrazione e molto valido dal punto di vista statistico, tra i più utilizzati in letteratura.
? Test Body Perception (Ruggieri e Tosi, 1988). Questo test misura la consapevolezza corporea e fornisce l’opportunità di effettuare una stima per ogni soggetto riguardo l’informazione percettiva globale.
? Body Cathexis Scale (Secord e Jourard, 1953). Il test misura specificatamente il grado di soddisfazione/insoddisfazione e di sentimento positivo/negativo che il soggetto ha rispetto alla propria apparenza fisica in generale e alle parti del corpo.
Procedura.
Si è proceduto a somministrare, in modo randomizzato, i test ai soggetti consenzienti, dopo aver fatto loro riempire una scheda identificativa utile a specificare la loro esperienza e competenza di vela in modo tale da poterli inserire nei tre gruppi. I test sono stati compilati nell’arco di 45 minuti, prima dei quali, ad ogni soggetto, sono state lette identiche istruzioni, necessarie per la corretta compilazione.
Limite dell’indagine è la presenza di un numero relativamente basso di soggetti, dovuto alle esigenze di contesto e ai tempi ristretti in cui è stata realizzata.
Analisi dei dati.
Per analizzare i dati è stato usato un piano di analisi della varianza per gruppi indipendenti eseguendo un’ ANOVA ad una via con tre modalità.
E’ stata perciò eseguita un’analisi delle differenze tra medie effettuando dei confronti a posteriori, o post-hoc, per specificare i valori significativi riportati dall’ANOVA, utilizzando il Duncan test.
I dati sono stati elaborati statisticamente utilizzando il pacchetto statistico SPSS per Windows.
Il livello di significatività statistica fissato per la verifica delle ipotesi è alpha = 0,05.
Risultati e discussioni.
I risultati hanno riportato delle differenze statisticamente significative per quanto riguarda i costrutti “autostima” e “soddisfazione corporea”.
Non sono emerse invece differenze statisticamente significative tra le medie dei tre gruppi, per quanto riguarda il costrutto “consapevolezza corporea”.
L’analisi della varianza ci dice che i gruppi provengono da popolazioni con medie diverse, ma non specifica se tale diversità riguarda tutti i gruppi, l’uno rispetto ad ogni altro, o solo uno di essi
Dal confronto tra le medie si può notare che il valore al test “Body Cathexis” diminuisce con il livello di “pratica nello sport vela” (esperti, occasionali, controllo). Osservando però il valore medio dei tre gruppi, si può notare che la distanza tra le medie dei primi due gruppi è maggiore della distanza tra le medie del secondo e terzo gruppo.
Per analizzare in maniera più approfondita queste differenze bisogna effettuare i confronti ortogonali (test di Duncan)
Il risultato al test del Body Cathexis, per la soddisfazione corporea, è molto incoraggiante. Vi è una differenza statisticamente significativa tra i gruppi, con un valore della F di Fischer molto elevato (5,159). In particolare i soggetti appartenenti al Gruppo dei velisti esperti (media del gruppo = 52,714), hanno un atteggiamento molto positivo nei confronti del proprio corpo, molto più positivo rispetto al gruppo di controllo dei non velisti (media del gruppo = 33,619), ma anche rispetto al Gruppo dei velisti occasionali (media del gruppo = 38,429). Questi ultimi non dimostrano di percepire con maggiore soddisfazione il proprio corpo rispetto a chi non ha mai fatto esperienza di vela, in senso statisticamente significativo.
Francesco Manuele Purita
Dottore in Psicologia; Collaboratore alla cattedra di Psicofisiologia Clinica dell’Università “La Sapienza” di Roma con il Prof. Vezio Ruggieri.
Bibliografia
Hattie J, Crane D. e Houghton S. (1997): Goal setting and the adventure experience. Australian Journal of Psychology, 49, pp. 6-13.
Hegemann T. (1991): Untersuchungen zum rehabilitationserfolg eines sozialtherapeutischen segelschiffprojektes (An investigation about effectiveness of a social-therapeutic sailing project). Praxis der Kinderpsychologie und Kinderpsychiatrie, 40, pp. 61-66.
Kuhn R.E. (2001): Sailing as a transformational experience. Dissertation Abstracts International: Section B, 62, pag. 2113.
Lo Iacono A. (2003): “Psicologia della solitudine”, Editori Riuniti, Roma.
Moch M. (2002): Entwicklung von Gruppenstruktur, Zusammenhalt und Selbstvertrauen im Verlauf erlebnispaedagogischer Segelmassnahmen (Development of group structure, group coherence, self-confidence during an experimental program with sailing as the medium). Gruppendynamik, 33, pp. 83-95.
Norris R.M. e Weinman J.A. (1996): Psychological change following a long sail training voyage. Personality and individual difference, 21, pp. 189-194.
Rosenberg M. (1965): “Society and the adolescence self-image”, Princeton University Press, Princeton, New Jersey.
Ruggieri V. (2001): “L’identità in psicologia e teatro. Analisi psicofisiologica della struttura dell’Io”, Edizioni Scientifiche MaGi, Roma.
Ruggieri V. e Tosi M.T. (1988): Test Body Perception. Presso la cattedra di Psicofisiologia Clinica della Facoltà di Psicologia all’Università di Roma, “la Sapienza”.
Secord P. e Jourard S. (1953): The appraisal of body-cathexis; body cathexis and the self. Journal of Consulting Psychology, 17, pp. 343-347.
Stadler M. (1989): “Psicologia a bordo. Gli effetti del mare sull’individuo e sull’equipaggio”, Zanichelli, Bologna.